Il piacere della tavola come “senso di appartenenza”
Il cibo e convivialità, il piacere dello stare a tavola diventa un palcoscenico per esperienze culinarie coinvolgenti che va oltre il semplice atto del mangiare.
Nel trattato Fisiologia del gusto, Brillat-Savarin scriveva “Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” con cui si evidenzia il concetto del cibo come espressione di ogni individuo. L’autore sottolinea che è differente il piacere di mangiare, dal piacere della tavola: mentre il primo è la sensazione di un bisogno primario da soddisfare, ed è presente sia nell’uomo che nell’animale, il piacere della tavola è una sensazione prettamente umana. Le modalità della sua preparazione e la sua presentazione sono rituali preziosi, che caratterizzano la famiglia, le sue abitudini e la sua quotidianità.
Stare a tavola insieme è la più antica forma di comunicazione e condivisione: anche la parola «convivio» (banchetto) rimanda etimologicamente al latino «convivium, der. di convivĕre ‘vivere insieme’», quindi mangiare insieme.
Dunque, a tutti i livelli sociali la partecipazione alla mensa comune è il primo segno di appartenenza al gruppo. Ma nel corso dell’evoluzione umana è sempre stato cosi?
La situazione fino agli anni cinquanta in Italia
In passato in Italia, almeno fino agli anni cinquanta, le pratiche alimentari (anche quelle quotidiane) erano integrate in un sistema codificato e dotato di un forte impatto formativo sia sul piano individuale che sociale: la stagionalità del cibo segnava il calendario e i ritmi di lavoro, i piatti domestici narravano le storie di famiglia, la provenienza e l’appartenenza religiosa; inoltre le ricette tipiche evocavano i sistemi di produzione di un territorio; e i cibi della festa, consumati collettivamente, stabilivano i legami sociali. Soprattutto la festa, intesa antropologicamente come “fatto sociale totale”, si configura come un deposito di valori, comportamenti standardizzati, pratiche collettive e dispositivi simbolico-rituali, diverse in tutte le società ed epoche della storia, con il ruolo di evasione dalla routine, rigenerazione del tempo, dei rapporti, dei valori comunitari.
L’avvento dell’industrializzazione
Con l’industrializzazione, il boom economico, il progredire delle tecnologie e della società stessa le festività iniziarono a mutare perdendo il significato più spirituale e/o culturale ad esse legato. Se alcune sparirono, altre feste come le sagre o l’avvento della domenica portarono altri significati con sé, come il riposo da lavoro o momenti per festeggiare la fine dei raccolti.
In un sistema consumistico quale è il nostro, l’atto di mangiare, supportato dall’ascesa dell’industria alimentare e la comparsa dei piatti-pronti negli anni ‘80 e ’90, si è adeguato ai connotati tipici del consumismo trasformando il cibo in “un bene di consumo” e causando l’impoverimento di gusto dei prodotti stessi e della cultura del cibo in generale. Parallelamente allo sviluppo della società, la digitalizzazione, e il successivo fenomeno della globalizzazione, le pratiche alimentari sono cambiate e continuano a farlo ancora oggi. Tuttavia, condividere e sedere ad una “tavola comune” continua ad avere un forte valore comunicativo e culturale.
Cibo e convivialità, la tavola delle festività e la ritualità di oggi
E’ interessante notare che la ritualità e la condivisione del pasto assume oggi un carattere forte ed universale, discostandosi dalla distinzione passata tra giorni-pasti feriali e festivi.
Più analiticamente, il rito è un insieme di azioni con una finalità specifica e presenta una serie di caratteristiche peculiari come l’aspetto procedurale (ripetizione), la condivisione, un ambito (locus) e un codice (habitus) specifico. Senza un’adeguata relazione tra azioni, oggetti, persone, spazi e senza che essi lavorino in sincronia tra di loro, i vari tasselli del rito restano slegati.
La rinnovata attenzione verso il cibo, la sua preparazione, presentazione e fruizione influenza cosi inevitabilmente quegli spazi che al cibo sono dedicati implicando per essi la stessa attenzione progettuale. Mangiare è sempre più un’esperienza totalizzante che coinvolge oltre al palato gli altri sensi sollecitati e in questo senso, la tavola, in quanto spazio (locus) del consumo (rituale) assume un ruolo importante e funge da “palcoscenico mediatico” ed abilitatore della convivialità.
Dal punto di vista simbolico, per esprimere l’assenza di gerarchie e la «democraticità», del gruppo e della tavola attorno a cui esso si stringe, si è particolarmente diffusa nella moderna società democratica l’abitudine al tavolo rotondo, meno adatto a segnalare le differenze e le gerarchie. La tavola medievale e quella rinascimentale erano invece, per definizione, di forma rettangolare, più adatta a definire distanze e rapporti.
È chiaro dunque che l’atto del mangiare non può essere sintetizzato riferendosi solo alla mera assimilazione di alimenti e calorie. Ogni modalità di assunzione del pasto può risultare significativa soprattutto dal punto di vista simbolico-culturale, così come diventa influente per la creazione di nuovi linguaggi-riti condivisi.
Bibliografia
- Montanari M., Il cibo come cultura, Bari, Laterza Editori, 2010
- G. Pils e R. Trocchianesi, Design e rito – La cultura del progetto per il patrimonio rituale contemporaneo
- Banzato A., Millennials and food: il mondo gastronomico con gli occhi della generazione Y. Indagine sulla cultura del cibo come “interesse di tendenza”, Tesi di Laurea Magistrale in Marketing e Comunicazione, Università Ca’ Foscari Venezia, a.a. 2019/2020
Nessun commento. Sii il primo!