La condivisione del cibo nel passato
Nel corso della storia e dell’evoluzione umana il modo di intendere e considerare la condivisione del cibo è cambiato enormemente. Prima dell’avvento della cottura con il fuoco, il pasto così come noi lo concepiamo oggi non esisteva perché presumibilmente i nostri antenati si nutrivano da soli lungo il cammino con il cibo crudo che raccoglievano, come fanno gli animali. Con ogni probabilità l’eccedenza veniva condivisa, ma comunque quello che l’individuo trovava era suo e lo mangiava quando aveva fame.
Con l’avvento del fuoco tutto questo cambiò: la tecnologia della cottura ci offrì non soltanto la possibilità di trasformare le materie prime, ma anche l’occasione di mangiare insieme in un luogo e in un momento stabiliti. Mettersi seduti, stabilire un contatto visivo, condividere il cibo ed esercitare l’autocontrollo furono azioni che servirono a civilizzarci.
Il successivo avvento dell’industria, lo sviluppo dei grandi centri urbani e la conseguente crescita esponenziale dei mercati, hanno contribuito a far si che il cibo divenisse merce, bene di consumo e prodotto per la vendita. I ritmi accelerati propri del processo industriale sembravano andare di pari passo con i ritmi sempre più frenetici dell’uomo che passava gran parte della propria giornata fuori casa, fra lavoro ed attività varie, riducendo cosi al minimo il tempo dedicato ai bisogni primari, primo fra tutti quello del mangiare bene, accontentandosi di soluzioni già pronte per un consumo indipendente e il più rapido possibile.
La condivisione del cibo nella modernità
Il concetto di cibo e di alimentazione evolve, si trasforma e cambia in maniera costante con le abitudini e i comportamenti degli individui. Allo stesso tempo, la molteplicità degli avvenimenti epocali determina la velocità dei cambiamenti: difatti, la pandemia causata dal Covid-19 ha in qualche modo fermato il tempo e ha cambiato il nostro modo di mangiare e pensare al cibo, rendendoci un po’ meno consumatori passivi e più responsabili e consapevoli dei processi coinvolti. La rinnovata attenzione verso il cibo e la sua preparazione ha influenzato inevitabilmente quegli spazi che al cibo sono dedicati, implicando per essi la stessa attenzione progettuale.
Mangiare in compagnia è diventata un’esperienza totalizzante che coinvolge oltre al palato, tutti i sensi sollecitati. Proprio attraverso la percezione e l’analisi concettuale dello spazio e degli elementi coinvolti circostanti si può dire che il cibo diventa un “linguaggio” che porta con sé significati e valori.
Massimo Montanari, nel saggio Il cibo come cultura, spiega che “mangiare insieme” è tipico (anche se non esclusivo) della specie umana. E poiché i gesti fatti insieme ad altri tendono a uscire dalla dimensione semplicemente funzionale per assumere un valore comunicativo, l’attitudine conviviale degli uomini si traduce immediatamente nell’attribuzione di un senso ai gesti che si fanno mangiando.
Inoltre, come osservò Roland Barthes nel 1961, in un saggio sulla Psico-sociologia dell’alimentazione contemporanea, può avvenire che la “circostanza” di consumo si definisca in modo talmente autonomo da andare in conflitto con la “sostanza” nutritiva del cibo stesso: per esempio, il consumo del caffè, alimento eccitante, può assumere un valore sociale opposto quando si collega alla nozione e alla pratica del relax, della pausa fra due momenti di lavoro. Barthes sosteneva che questi valori di circostanza sono tipici dell’età contemporanea in quanto il cibo, nella società dell’abbondanza, tende a indebolire la sua valenza propriamente nutrizionale per enfatizzare invece un significato di “accessorio”.
I contesti del mangiare insieme
Il tema della “convivialità attorno al pasto” include sia il contesto domestico così come l’ambiente fuori casa: nel primo caso, infatti, mangiare insieme diventa l’occasione in cui sin da bambini si impara l’arte della conversazione, le abitudini della civiltà come condividere, ascoltare, fare a turno e dissentire senza offendere. Nel secondo caso, fuori dalle mura domestiche, come afferma il professor Bonazzi, il simbolo di condividere il cibo è la rappresentazione del desiderio di star insieme ed aver un’esperienza di relazione, per mezzo dello scambio del pasto a tavola.
Che si parli di famiglia, amici o gruppo di colleghi, a tutti i livelli sociali, la partecipazione alla mensa comune può essere il primo segno di appartenenza ad un gruppo o può essere osservata come il momento di ingresso in una comunità, al fine di rendere gli individui parte integrante della stessa cultura. Non a caso, nelle società occidentali è usanza invitare a cena una persona per farla entrare nella propria cerchia d’amicizie, come se il cibo gettasse un ponte tra le persone e nelle dinamiche sociali.
Dunque, mangiare insieme e condividere il cibo, può esser considerato un modo per trasformare il gesto nutrizionale dell’alimentazione in un fatto prettamente culturale. Ciò che si fa assieme agli altri assume un significato socio-culturale e un valore di comunicazione.
Note
1. Pollan M., Cotto, Storia naturale della trasformazione, trad. di Blum I. C., Adelphi Edizioni, 2014, pag. 90-91;
2. Mancaniello M., Food Design La cultura del progetto in tavola, 2018;
3. Ibidem, pag. 90;
4. Montanari M., Il cibo come cultura, Bari, Laterza Editori, 2010;
5. Semiotica alimentare cibo non solo sostanza ma anche circostanza – https://www.taccuinigastrosofici.it/ita/news/contemporanea/semiotica-alimentare/Pop-cibo-di-sostanza-e-circostanza.html;
6. Pollan M., Cotto, Storia naturale della trasformazione, trad. di Blum I. C., Adelphi Edizioni, 2014, pag. 177;
7. Banzato A., Millennials and food: il mondo gastronomico con gli occhi della generazione Y. Indagine sulla cultura del cibo come “interesse di tendenza”, Tesi di Laurea Magistrale in Marketing e Comunicazione, Università Ca’ Foscari Venezia, a.a. 2019/2020, pag. 52;
8. Montanari M., Il cibo come cultura, Bari, Laterza Editori, 2010, pag. 130.
Ottimo articolo, davvero interessante.
Bravo Giovanni, spero di leggerne presto tanti altri!